Politica oggi...

POLITICA OGGI: in una parola, vergogna

di Ulderico Bernardi

Tratto da Frate Indovino (giugno 2012)

Redditometro, spesometro, ogni giorno stampa e governo inventano un qualche strumento contabile per calcolare i quattrini che vengono spesi dai singoli per circondarsi di oggetti o di servizi, fino al telefono di casa. Tutte cose facili da convertire in cifre, in numeri di ricchezza presunta. Mai nessuno che proponga qualche modalità per misurare il grado di arroganza, di insopportabili privilegi che quanti hanno un potere esibiscono sfacciatamente. È urgente farne almeno una stima. Ragionare qualitativamente e non solo quantitativamente. Accade però che perfino responsabili molto qualificati giungano, in questo nostro amato Paese, a dichiarare la loro inapacità a far di conto.

I cittadini italiani più attenti sono di sicuro rimasti sbalorditi davanti alla rinuncia del presidente dell’Istituto Italiano di Statistica (dicesi di un tecnico dei numeri, non di un qualsiasi campanaro della Val Padana!), che ha rimesso il mandato - dopo mesi e mesi di lavori in Commissione - dichiarando l’impossibilità di valutare la differenza tra le paghe degli Onorevoli italiani (notoriamente elevate) e quelle dei loro colleghi negli altri Stati europei. Per non dire dei capi partito, abbondantemente foraggiati dallo Stato, uno dei quali si permette perfino di dichiarare, pubblicamente, che lui, quei soldi spremuti ai cittadini, li può pure buttare dalla finestra. Vergogna!

Vergogna personale e di gruppo! E vergogna per lo Stato, nelle sue articolazioni amministrative, che richiede lavori e servizi alle imprese e poi non le paga, o lo fa con ritardi enormi, spingendoli alla rovina. Vergogna per quelle (in)coscienze su cui pesa la morte per suicidio di tanti piccoli imprenditori travolti dai debiti, per non aver potuto, a loro volta, pagare fornitori e dipendenti, a causa dei crediti mai incassati. In questa spirale infernale precipitano la fiducia nello Stato, la credibilità dei partiti, l’affidabilità di tecnici, funzionari e professionisti. Resta, messa a nudo, una sola verità: la perdita del senso di comunità, un disagio dell’anima da cui insorgono corruzione, sopruso, privilegio, arroganza. Tristi cavalieri di un’apocalisse della democrazia, che flagellano le contrade di un Paese che può ancora vantare un immenso patrimonio storico e una grande riserva di intelligenze mortificate, dopo averne esportate in tutto il mondo per un secolo. Impoverita nella lingua, la povera Italia ha visto sparire dal suo vocabolario parole come pudore, serietà, fiducia, dignità, decoro, misura. Quei pochi che ancora le praticano sono derisi, sbeffeggiati, ignorati. E allora largo agli sguaiati, agli smemorati, ai portatori urlanti di finte morali da spettacolo in piazza. Una carovana di mistificatori che di fatto rinforzano la truppa degli arrivisti profittatori, nel loro proporre il nulla, in un gran polverone di improperi, di bestemmie, di profanazioni verbali, nell’abbandono compiaciuto a ogni forma di tentazione. Di esibizionismo e di accaparramento, di lussuria e di invidie. Pensieri, parole, opere e omissioni perverse, che misurano la distanza ormai evidente tra Dio, cuore di tutti i valori, e gli uomini. Tentati d’innalzare una nuova torva torre di Babele, fondata sul disamore, presuntuosa, incarognita, ostile alla carità, alla giustizia e al bene.

La visione della comunità giace sepolta sotto gli interessi di parte, di partito, appunto. È questo il male di cui soffriamo. Anche se non prevarranno. Anche se le risorse di fede, di speranza e carità che l’Italia custodisce attendono di rifulgere alla luce, mentre i riflettori dei media, ingolositi dall’auditel e dalle tirature, puntano solo sugli scandali pubblici e privati e sulla sfacciataggine degli scandalosi. La Chiesa assume un ruolo che non ha pari in questo momento storico della nostra Patria. Padri e Maestri, antichi e nuovi, chiedono di essere ascoltati per guidarci fuori dal deserto dell’individualismo egoistico e rampante, fino a rimettere il piede sulla fertile terra della condivisione solidale, di ideali e di fraternità. Un teologo di grande valore che si chiamava monsignor Luigi Sartori, scomparso cinque anni fa, ricordava ai fedeli che la vita è relazione. Più ci sono relazioni, più c’è vita. La vita è uno stringersi agli altri, è un consumarsi per gli altri, un donarsi totale, come la vita di una mamma per i suoi figli. Vivere è diventare una relazione vivente di luce, di amicizia, di amore. Gesù è la relazione più grande del creato, è l’amore più grande realizzato. Gesù è la fraternità generata dal Padre: fraternità incarnata, crocifissa e risorta. Sono queste le parole a cui ispirarsi, la vera ricetta capace di sconfiggere la crisi di una società e di un’economia affogate nella loro stessa arroganza.