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QUALI ESEMPI: dalla politica agli affaristi di ogni risma

Lungo è lo sguardo dei poeti. Riesce ad intravedere il futuro, assai prima degli analisti sociali. Davanti al declino morale del presente, tornano intuizioni formulate in versi tanti anni fa, ma validissime per il presente. Che cosa abbiamo dato? Un grande poeta, approdato al cristianesimo con la lettura di Dante, lo proponeva come l'interrogativo finale che ciascun uomo avrebbe dovuto porsi. Era Thomas Stearns Eliot, nel suo poema "La terra desolata" (1922). A suo modo, e comunque in ottima forma italiana, l'enfatico Gabriele D'Annunzio lo adottava, ponendo sulla sua carta da lettera il motto: Io ho quel che ho donato! Certo, chi non mette in conto l'Eterno, e sostiene una società individualista, avida solo di prendere, non avverte e non si preoccupa delle conseguenze di un vuoto di fede e d'ideali che inaridisce le anime e tormenta tanti giovani. Non si può e non si deve generalizzare. La larga presenza del volontariato altruistico, a sostegno dei bisognosi di cure, di affetto, di solidarietà, ne offre generosa testimonianza. E, tuttavia, il clima culturale che oggi domina è questo. Ostile all'esame di coscienza e dimentico del giudizio finale. Attento, invece, a tutto quanto può tornare utile per la felicità personale, ridotta all'accrescimento della ricchezza privata. Più ricchezza, più prestigio, più potere. Sembra diventata questa l'unica scala di pseudo valori su cui arrampicarsí in vita. Tanto dopo c'è il nulla. Di qui la corruzione dilagante, la mercificazione di ogni azione, sentimento, aspettativa umana.

Ogni cosa ha un prezzo. Come qualsiasi merce. Anche il corpo è merce. Ne sanno qualcosa le giovani donne, usate per la pubblicità, avvilite e umiliate in programmi televisivi che le spogliano di ogni dignità. Altrimenti, dicono, non si fa carriera. Cioè non si prendono più soldi, non si acquista più visibilità, che consente di chiedere ancora più soldi. Un meccanismo perverso, a cui pochi e poche sanno sottrarsi. Se questo è il vento che soffia nella società dell'immagine, ai maneggioni della politica, agli affaristi di ogni risma, non par vero di abbandonarsi alla corrente. Si finisce che c'è una gara generale alla conquista della vita facile, senza patemi d'animo legati a valori veri.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Le cronache quotidiane sovrabbondano di "scandali", che sono poi la normalità di un sistema ubriacato dall'abbondanza e dalla vanità di pochi, assurti a modelli di questo mondo effimero. È un mondo che cancella ogni limite: al piacere, alle pretese, ai falsi bisogni. Ma anche alla necessaria scansione delle età. La riduzione a merce tocca i piccoli come i grandi. Chi distingue più tra infanzia, adolescenza, maturità? La giovinezza è merce ambita. E allora sfruttiamo anche l'infanzia, e fingiamoci tutti giovani, anche a quarant'anni e più. Ci si vende meglio.

E gli adulti, i maturi? Che fine hanno fatto? Chi si assume, oggi, la responsabilità di guidare, di formare, di preparare davvero alla vita e di mettere al mondo generazioni coscienti? La chiamano "crisi della paternità", che altro non è se non la "crisi della famiglia", di cui, in verità, ci si vuole sbarazzare, perché diventa un ostacolo al mondomercato. Se insiste a trasmettere un modello alternativo, fondato sulla gratuità, sul dono, sul dare, su una mamma e un papà che curano, che sollevano, che aiutano senza scopo di lucro, che insegnano a conservare la memoria di chi ci ha preceduti e ad amare la Via, la Verità e la Vita, diventa uno scandalo!

La continuità, i valori permanenti, le relazioni stabili, l'altruismo, lo spirito di comunità sono altrettanti ostacoli al tutto e subito, all'idea della ricchezza materiale come unico scopo dell'esistenza. E se qualche ragazzo o ragazza è confuso, e brancola alla ricerca di non-sa-neanche-lui-di-che-cosa, nell'indifferenza degli adulti o presunti tali, allora peggio per lui. Dice niente il fatto che i suicidi giovanili continuino a crescere? D'altronde, se per fare il conduttore televisivo, se per fare l'allenatore di calcio, se per fare i managers pubblici e privati, si portano a casa compensi venti, trenta, cinquanta volte quello di un qualsiasi padre di famiglia, che si ostina a fare con dignità il suo lavoro onesto, semplice, quotidiano in ufficio, in fabbrica, in bottega, e tira su una famiglia nella testimonianza della sobrietà, della parsimonia e del corretto comportamento, il confronto stordisce. E scardina la saggezza. Dice il poeta (sempre TS. Eliot): Dov'è la saggezza che abbiamo - perso in conoscenza? - Dov'è la conoscenza che abbiamo - perso in infomazione? Era il 1934.

di Ulderico Bernardi

Docente di Sociologia dei Processi Culturali all'Università di Ca' Foscari, Venezia