Il Crocifisso Glorioso

ORIGINE DELL'OPERA Crocifisso moderno dallo stile sobrio e raffinato creato delle Suore del Monastero di Caux (Francia). Appartengono alla famiglia monastica di Bethleem, nata recentemente come parte dei Certosini di San Bruno. La Famiglia monastica di Betlemme, dell'Assunzione della Vergine Maria e di San Bruno è nata il 1° Novembre 1950 a Roma, quando Sua Santità il papa Pio XII proclama il dogma dell’Assunzione al cielo della vergine Maria. Un gruppo di pellegrini francesi, venuti a Roma per la proclamazione del dogma, riceve l'intuizione di fondare una nuova congregazione per rivivere l'atteggiamento contemplativo di Maria e anticipare la realtà del cielo. Ora hanno monasteri sparsi in tutto il mondo. In Italia sono presenti con un monastero maschile a Monte Corona, nel comune di Umbertide e un monastero femminile dedicato alla Madonna del deserto a Monte Camporeggiano, frazione di Mocaiana, in Umbria.IL CROCIFISSO DELLA RISURREZIONE Il crocifisso riprende un modello iconografico bizantino ben diffuso in Lombardia, nel sud della Francia oltre che in Spagna dell'XI secolo e che ha nel Crocifisso di Lucca (conosciuto col nome di "Volto Santo") una delle opere italiane più significative. Vedere un Cristo vestito, per noi cristiani dell'epoca moderna, appare come una novità. Va ricordato invece che storicamente i nostri crocefissi dolorosi compaiono solo a partire dal XIII secolo, grazie alla predicazione degli ordini mendicanti (Francescani, Domenicani e Agostiniani) e alla loro visione mistica del dolore raccontata dalle pratiche devozionali e penitenziali. Il "modello bizantino" (più antico) consegna una idea di Cristo vittorioso; il "modello classico" (presente in tutte le nostre chiese) ci ha sempre raccontato un Cristo paziente, uomo dei dolori, stilizzato con il volto sofferente, il corpo piagato e con gli occhi chiusi.La forma L'uomo della Croce, nei suoi segni regali (corona aurea, tunica rossa ricamata, cintura annodata), così pure nella raffigurazione sulla croce (gli occhi aperti, corpo diritto con le braccia aperte all'abbraccio, i segni dei chiodi evidenti ma non sanguinanti), rivela un uomo non vinto dal dolore e dalla morte, ma vivo e trionfatore pur nell'umanità umiliata e dolorante. Questa è la più antica iconografia del "Christus triumphans" di cui S.Giovanni Crisostomo esclamava: "lo lo vedo crocifisso e lo chiamo Re".

I colori

Il colore bianco della croce, percorsa da un orlo dorato insieme alla sagoma "fiorita" (le estremità allargate a forma di quadrato) sono tutti simboli di luce. Non si vuole rappresentare un patibolo, ma un Altare su cui prega un sacerdote che è lo stesso Cristo nell'atto di offrire se stesso. Questa croce è una mirabile sintesi dell'Eucaristia e del dono continuo che Cristo fa di sé alla Chiesa. E' la lettera agli Ebrei che ci svela un Gesù sacerdote che "avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio" (Eb 10.12). In questa croce Gesù si presenta come Sacerdote, Vittima e Altare.

Il colore rosso della tunica orlata di ricami d'oro racconta la forza dell'atto di amore di Dio che consegna la vita agli uomini. Nell'estremo abbassamento del morire, della massima umiliazione per il rifiuto degli uomini, Dio risponde amando e perdonando. Per questo ragione il Crocifisso si mostra con le braccia aperte nell'atto dell'accoglienza: le ferite dei chiodi non sanguinano più perché è il "Signore ricco di misericordia per chi lo invoca" (Sal 86,5).

Gli occhi aperti

Il Cristo vestito ha gli occhi aperti rivolti al mondo. Gesù è solidale con chi soffre e vede il peccato dell'umanità perché ancora vuole farsene carico.

Il Cristo ha gli occhi aperti rivolti all'osservatore. Questo sguardo richiama alla riflessione personale che coinvolge in un dialogo interiore chi si ferma a contemplarlo. Gesù invita a prendere posizione di fronte a questo amore di Dio consegnato agli uomini.

Il Cristo ha un'espressione dolce e regale che rivela il desiderio di relazione. Gesù è qui descritto come un mendicante d'amore: cerca il nostro sguardo, richiama la nostra coscienza e ci invita alla conversione, cioè a rispondere nella libertà a questo amore.