Prima educare la famiglia

PRIMA EDUCARE LA FAMIGLIA

Ci sono centinaia di migliaia di giovani, avvertono freddamente le statistiche, che non fanno nulla. Hanno tra i 15 e i 30 anni o magari oltre, che al mattino non si alzano dal letto per andare a scuola, per avviarsi al lavoro o ad imparare un mestiere. Una cruda triste fotografia del fallimento di almeno un paio di generazioni di padri e nonni che li hanno preceduti. Comunque non si tratta di un caso solo italiano. Tutto l’Occidente patisce di questa clamorosa sofferenza per la mancata integrazione. Certo non si deve generalizzare, perché i ragazzi e le ragazze che si comportano con giudizio, che si danno da fare, fino ad aiutare il prossimo, che costruiscono il loro avvenire nell’onestà e senza fughe dal mondo attraverso le droghe e lo sballo, sono la stragrande maggioranza. L’Italia poi non conosce o quasi quelle fiammate tremende di rivolta sperimentate da Stati Uniti, Francia, Regno Unito che hanno visto come protagonisti gruppi etnici emarginati nei ghetti delle periferie metropolitane. E di questo bisogna ringraziare le famiglie, che evidentemente nel nostro Paese tengono ancora. La famiglia che aiuta, che educa, che indirizza, che rimane ancora, per antica tradizione, una comunità vera, fonte di trasmissione di valori, di solidarietà concreta, riferimento stabile e amoroso anche se aggredita da più parti, si ritrova nell’indifferenza dei governanti. La violenza, il disimpegno, l’apatia di troppi giovani occidentali si fanno tanto più elevate quanto più avanza la secolarizzazione. Man mano che cresce la lontananza da Dio e dalla Legge morale che il cristianesimo continua a proporre da millenni, più vuota di senso si fa la vita. Una situazione complessa, dove certo incidono la crisi economica, la disgregazione familiare, la voglia di avere tutto e subito senza fatica, il traguardo indicato solo nel possesso di denaro, a ogni costo, per soddisfare fasulli bisogni di apparenza. Tutti aspetti che ci dicono come questa frana delle più vere aspettative giovanili non sia di origine astrattamente sociale, bensì profondamente culturale.

Una società si riconosce prima di tutto in un nucleo di valori essenziali permanenti, trasmessi di generazione in generazione nella continuità. Se questa catena valoriale s’interrompe o si spezza per effetto di false dottrine, illusorie e baldanzose nell’esaltare la morale fai da te, il narcisismo individualista, la negazione della componente spirituale nell’essere umano, nessuna comunità può sopravvivere. Né la famiglia né la nazione. Le cose si complicano ancora più quando una società vede la compresenza di più etnie, spesso provenienti da ambienti, storie, esperienze religiose significativamente diverse. L’integrazione ai costumi, ai modelli culturali, agli stili di vita di tanti popoli differenti, diventa ancora più difficile e richiede sforzi e mezzi e sollecitudini specifiche. La scuola, il lavoro, i centri di ricreazione e di formazione sono veicoli importantissimi per fare di un agglomerato di uomini e donne una comunità di destino. Ma nemmeno questi sono sufficienti a garantire una buona e stabile relazione sociale. Non bastano, se viene a mancare la comunità prima, la famiglia, sede della formazione primaria, dove la più efficace pedagogia, quella dell’esempio, della testimonianza nei giorni, è fornita dai genitori. Dovrebbero ricordarlo i responsabili politici, tutelando, assistendo, sostenendo la famiglia. L’inerzia dell’anima è contagiosa, e nel diffondersi brucia le generazioni.

da FRATE INDOVINO - Ulderico Bernardi

professore ordinario di sociologia nell'Università Ca' Foscari di Venezia.