Simbolo di amicizia

«COSI' SI E' PERSO UN SIMBOLO DI AMICIZIA»

Il priore della Comunità di Bose: l' opulenza sfacciata fa sprecare quello che altri non hanno

No, questa Italia non è più un Paese di compagni. Da intendersi, naturalmente, nel senso nobile, etimologico: persone che accettano di spezzare il pane con noi, facendone «un simbolo della condivisione, del frutto del lavoro di molti, della solidarietà, della compagnia autentica». Così la pensa Enzo Bianchi, fondatore e priore della Comunità Monastica di Bose, nei dintorni di Biella.

Che oggi riflette con dolore («ne sono scandalizzato e ferito») sullo spreco di un elemento base della spiritualità cristiana. Si chiede Enzo Bianchi: che fine hanno fatto le qualità del pane elencate nella Bibbia?. «Dov' è ormai il pane dell' accoglienza per l' ospite, quello delle lacrime che evoca le sofferenze comuni, o il pane della vita che promette un aldilà? E dove sono finiti il pane dell' amicizia o quello degli angeli?».

Tutti spariti, inghiottiti nel buco nero di quei 180 quintali che ogni giorno a Milano finiscono nella spazzatura, soltanto perché non sono più fragranti come al mattino. E fanno pensare, osserva il priore, «all' opulenza sfacciata che annulla ogni valore, spingendo a buttar via un alimento senza pensare a coloro che non l' hanno. Ma denunciano anche l' abitudine cittadina di infornare pane destinato a durare poche ore, diventando immangiabile già l' indomani. E alludono al lusso incomprensibile e ingiustificato che spinge a produrne una varietà eccessiva e invendibile, quindici o venti tipi differenti, giusto per il piacere gratuito di trasformare ciò che sarebbe necessario in puro superfluo». .....

Il simbolo del pane, sostiene dunque il priore, «esprime ciò che è necessario per vivere, ma anche amore per l' ecologia, la quale si esprime anzitutto nel rispetto rivolto alle cose quotidiane». C' è anche un ricordo molto personale, struggente e diretto, nella confessione del priore: una scena che il suo ricordo ha fermato nel tempo, l' interno della casa di Castelboglione, nel Monferrato, dove suo padre esercitava la modesta professione di lattoniere. «In quella casa c' era una stanza dove si accoglievano le persone di passaggio. Potevano essere i venditori di carta da lettere, ma anche semplici mendicanti: al centro della tavola si trovavano sempre una gran forma di pane, una bottiglia di olio e un' altra di vino. Le quali, oltre a ristorare materialmente l' ospite, esprimevano rispettivamente il bisogno (il pane), la gratuità (il vino) e il nutrimento (l' olio). Messe insieme, rappresentavano l' essenziale dell' accoglienza». Ma dov' è finito il senso profondo di tutto ciò, che in Enzo Bianchi richiama anche il simbolo biblico della vita dura («ti guadagnerai il pane con il sudore della fronte)?

.... Persino la dimensione più alta, la preghiera al Padre che invoca «il pane quotidiano», gli sembra ormai trascurata, benché «non a caso pane e vino siano stati scelti per il sacramento cristiano, alludendo agli elementi essenziali della cultura che serve per produrli». E benché non ci sia ragazzo di liceo che non ricordi, nel bel mezzo dei «Promessi sposi», il «non c' è pane» che evoca fame e carestia, e l' assalto al forno che travolge Renzo Tramaglino. Ma non tutto è perduto. «Vicino alla nostra comunità, nei pressi di Bose, un fornaio scalda ancora il forno a fascine, e ci restituisce con il suo pane la cifra, l' alfabeto della nostra attenzione alla terra».

E domani? «L' esempio viene dalla Germania, dove negli ultimi anni tanti sono tornati all' impasto tradizionale del pane, un fenomeno straordinario che spinge a farlo durare per più giorni. Sono le vecchie ricette che tornano, la forneria tradizionale a base di segale, pensata per durare e resistere. Perché condividere con un altro la fame, il desidero di mangiare, è anche il primo impulso dell' essere umano verso la felicità»

tratto dal Coriere della Sera - Martedì 5 gennaio